Curatore d'Arte

Orodè Deoro

Orodè Deoro. Ogni anno visito con piacere ed attenzione molte delle iniziative culturali che le città italiane propongono. Tappa fissa delle mie visite è la bella citta marchigiana di Arcevia che propone sempre iniziative di qualità, curate con raffinatezza. In una occasione la mia visita è stata allietata  dall’ inaugurazione  dei mosaici “FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO” donati da Orodè alla città. Il  fresco piacere del  tardo pomeriggio estivo ha reso gradevoli anche gli interventi di circostanza, già si parlava di crisi e difficoltà finanziarie degli enti locali. Naturalmente gli occhi erano tutti per i luminosi lavori che tutti noi potevamo vedere per la prima volta e devo dire che l’antica piazzetta Crocioni sembra proprio nata con le tessere di mosaico sapientemente collocate da Orodè di cui nella giornata si inaugurava anche la mostra “LA VOCE CHE DICE QUALCOSA È UNA VIA DI FUGA”…

La caduta di un mondo nelle opere di Orodè Deoro
di Gian Ruggero Manzoni

Quando per la prima volta mi sono imbattuto nei lavori di Orodè Deoro, ho subito pensato a Egon Schiele, non tanto per i soggetti rappresentati, quanto per come egli affronta la figura nell’oggi e per come intende il gesto artistico. Orodè si pone con un segno disperatamente poetico, testimone della fine di un’epoca. In un Occidente che precipita, stordendosi, danzando, avvelenandosi e guerreggiando, verso la catastrofe, il pittore e performer pugliese introduce una nota di tragico presagio e insieme ci regala il desiderio di eros, di vita, di passione, seppure le sue rasoiate e il suo continuo rapporto con l’oscuro, con la tenebra, con l’abisso. Quindi la sua diventa una drammatica avventura interpretata con lucida partecipazione al nostro tempo. La caduta è evidente, ma il rappresentato si muove in senso contrario rispetto a una decadenza estetizzante o a un freddo distacco, come possiamo vedere in molta pittura giovane. L’originalità di Orodè sta in tali componenti, in modo che il simbolo diventa parte integrante della figura e la malattia e la morte sono spesso trattate con una visione polarizzante. Nelle sue raffigurazioni, espressioniste e di getto, l’artista non vuole mostrare ciò che appare, infatti per lui è importante ciò che è lo “sguardo verso l’interno”. Nei numerosi ritratti da lui eseguiti, Orodè riflette, in modo molto pregnante, una visione delle abitudini socio-culturali che alienano il mondo. La società ‘postmoderna’ si vede messa a confronto con una crisi d’identità. Di questo tipo di rappresentazione in passato si sono occupati scienziati come Ernst Mach, nei Contributi all’analisi delle sensazioni (del 1886), e Sigmund Freud, nei suoi scritti sulla psicoanalisi (usciti nel 1900). L’individuo ha paura di perdere definitivamente il proprio Io e si mette alla ricerca di altre possibilità, che spesso non trova. La crisi del soggetto, la sua sofferenza e la sua “identità perduta”, tematiche centrali dell’umanità, sono quindi attualissime, in un’epoca di riorientamento globale. Sappiamo che il senso di perdita d’identità è seguito da sentimenti di vergogna e di rimorso. In alcuni momenti si coglie un qualcosa di distorto nella relazione con l’altro, che la dipendenza è nociva e che se ne vorrebbe fare a meno, ma la constatazione di essere intrappolati in un modello dipendente fa sentire indegni e quindi spinge, ancora di più, verso l’abbraccio dell’altro, che accoglie e perdona, ben felice, talvolta, di possedere; ma è un’illusione, solo un’illusione. Forse l’ennesima. Infine la solitudine trionfa. Il tema della dipendenza affettiva è fra noi, sia per motivi psicopatologici sia per motivi culturali, e così Orodè lo interpreta, perché la dipendenza è una condizione mentale, un’importante fonte di sicurezza sostitutiva rispetto alle certezze dei valori in crisi e poi perché l’instabilità o la precarietà delle continuazioni relazionali tradizionali (coppia, famiglia) tende a selezionare stili di attaccamento ambivalenti o conflittuali, e a favorire la formazione di legami affettivi incostanti e deboli. Ed è di una debolezza che il nostro artista narra, di una debolezza ormai diventata sistema, assieme alla paura.

(Recensione apparsa, insieme ad una selezione di disegni in b/n, nel secondo numero di “ALI. Rivista d’arte, letteratura e idee”, diretta da Gian Ruggero Manzoni)

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