Curatore d'Arte

La pittura di Costantino Baldino e l’arte di chi sa aspettare

La pittura di Costantino Baldino e l’arte di chi sa aspettare di Giovanna dalla Chiesa
L’arte frenetica di oggi non conosce più i tempi dilatati, ritornanti, dello studio dei maestri, quelli che si mandano a memoria come una canzone, una musica, che poi resta sempre con noi e si può ricantare, perché si conosce il motivo, il ritmo, che abbiamo fatto nostro ed è entrato in noi, come ci entra una passione, un sentimento. Come la musica della vita, perché la vita è una musica, nel cui ritmo siamo entrati un giorno, quasi per caso, e certo qualche volta la musica finisce, se finisce la speranza, ma può riprendere, come riprende la gioia di vivere e di amare. La Pittura, Baldino lo ha scritto – usando la maiuscola – è un po’ cosi’, non ha spiegazioni, quelle servono ai critici “a fini dimostrativi”, perché “ la Pittura “ invece “ è un mestiere dove quotidianamente si esercita la propria sensibilità, con amore, con passione, con libertà e coraggio, con la preoccupazione e il dubbio di essere o non essere nel giusto, con la speranza di mantenere intatta l’eredità che ci viene dal passato, e che scopriamo lentamente fino a che ci è dato di vivere”. Sono grandi parole, parole antiche, definitive, senza remore, che stabiliscono un ponte eterno, infinito, tra passato, presente e futuro e questo ponte è la Pittura. E mi piace pensare, anzi ne sono sicura, che Baldino un giorno sia entrato nella Pittura, per non lasciarla più. Lo studio, dicevo, era l’attività precipua che accompagnava il lavoro di qualcuno che indipendentemente da ogni ambizione di successo o di remunerazione, s’incamminava per la strada della dedizione all’arte, che una volta intrapresa, si sapeva sarebbe durata tutta una vita. Ebbene, se esiste ancora una categoria dello studio, essa si applica abbastanza perfettamente alla personalità di Costantino Baldino. Non so se l’ Accademia c’entri qualcosa, ma certo per Baldino essa ha rappresentato il “ lathe biosas ”  di una temporalità distesa, quella dello studio, ai margini del chiasso e dei rumori della città dedita al suo traffico effimero, transitorio, assordante e spesso accecante nei confronti della verità di passioni che nutrono invece un’intera vita, come la riflessione e la conoscenza. E si potrebbe anche non arrivare mai a sé stessi, tanto il puro atto di venerazione può giustificare un’esistenza !Nietzsche affermava : “ le nature nobili, le quali non sanno vivere senza venerazione, sono rare “. E Giorgio Colli che a Nietzsche ha dedicato gli studi di un’intera vita scriveva “la capacità di venerazione è un carattere discriminante che traccia confini nella natura umana”. E la venerazione, si sa, ha tempi lunghi, ha ritorni, riprese, ripetizioni, Baldino ha fatto proprio l’enunciato di Délacroix che troviamo in epigrafe nel catalogo della mostra tenutasi a Reggio Emilia nel 2006 : “ Ciò che fa gli uomini di genio, o meglio ciò che gli uomini di genio fanno, non sono le idee nuove, ma l’idea da cui sono posseduti, che ciò che è stato detto, non lo è stato ancora abbastanza “. Il principio è chiaro e si potrebbe anche non arrivare mai a sé stessi, ma poi si arriva. Lo sapeva Cézanne, lo sapeva van Gogh, ma lo sapevano anche de Chirico, Bacon o Arshile Gorky. Uno dei maestri di Baldino, Montanarini – l’altro è stato Capogrossi – scriveva di lui nell’83 : “ in pittura si può salire un gradino per volta nella scala dell’identificazione. Costantino Baldino sta salendo lo scalino verso il “canale proprio alla sua pittura” col quale identificarsi “. Ma è curioso, nel momento in cui per un attimo, proprio allora, gli è sembrato di trovare inserimento in un filone di attualità che aveva anche il suo mercato e riscuoteva l’interesse della critica, Baldino – che infatti asserisce di “ non aver mai aderito a scuole o teorie “ – prova per la prima volta, l’unica, che io sappia, ad autoritrarsi-identificarsi e a riconoscersi, ma subito dopo si ricaccia nella propria spartana noncuranza dell’attualità – peraltro congelata in un fuori tempo che tende a consegnarsi alla storia anziché al tempo della vita – per ridarsi agli studi di paesaggio e ad un bagno di natura, quasi ebbro, dove l’io si perde per poter rinascere al piacere salvifico ed appassionato della Pittura. L’alternarsi così libero, da sempre, di astrazione e figurazione nell’universo di Baldino, il suo non voler rinunciare a nessuna delle possibilità che i due sistemi gli offrono: quella vorace dell’occhio, che s’immerge nella realtà e quella della mente che può ricostruirne i ritmi, le proporzioni, le figure e le geometrie, affidandosi al metodo ed al linguaggio, non fa meraviglia : l’astrazione, almeno quella storica, non avrebbe alcuna ragion d’essere se come punto di partenza non avesse la realtà da cui astrarre-estrarre forme, andamenti, colori.  Questa non rinuncia volontaria, sia all’astratto che al figurativo, dove uno stile è trasformato ogni volta nella possibilità di scavalcamento dall’ altro, come creando volutamente la frizione da cui poter compiere poi il salto in alto o lo sprofondamento in basso, o verso le regioni di liquido e solido, acuto e curvo, ha cominciato a trovare una sintesi possibile con la scoperta e la sostituzione del tessuto per i jeans – denim è il suo nome commerciale – divenuto di uso internazionale – alla tela del pittore. Non è casuale che l’occhio, poggiandovisi, possa ricondurne il traslato a quella di un corpo che l’indossa, alle movenze dinoccolate, o sinuose che vi si formano e che ne animano concretamente l’essenza, la trama, la rete di rimandi infiniti quaggiù nel mondo che è il nostro, la guaina che c’imprigiona e ci accoglie, anche, da cui ogni tanto intravvediamo uno spicchio di cielo, un’ ulteriorità, che sfonda la parete materica  del nostro quì, lanciandoci nel là dell’indeterminato in cui, senza peso, galleggiano e si muovono entità cosmiche Oggi Baldino su quella tela traccia, un po’ come un sarto che iscrive i contorni che poi taglierà, i percorsi, gli spazi che poi farà indossare alla pittura, disegna i pieni, i vuoti, fa curvare il tessuto, visivamente, intorno ad una visione da cannocchiale che prende insieme spazi anche enormi in un piccolo campo, in cui ricompone, poi, con un eros che anche un tempo era tutto di sguardo, la sua sintesi di micro e macro mondo. La vista, organo in cui massimamente si esercitano le grammature di luce e di colore della pittura è uno strumento di dialogo con l’altro da sé, sotto la cui guida ci si dispone osservandolo, come a controllarne ogni mossa. Ha in sé quella totalità ed assolutezza che sconfina facilmente nel dato mistico ed estatico della visione. Questo dato era caratteristico , soprattutto dell’uso che Baldino faceva del denim negli Anni Settanta, quando era evidente la volontà di penetrare dentro la trama del tessuto, sgranandola, sino a renderla tessitura di pura luce. Un atto di evocazione a ritroso, di memoria, che infatti si scandiva già attonita in parola. Quella grana, quell’ eros a punta di spillo, sul filo del rasoio, l’hanno anche le nature morte, i nudi metafisici degli Anni Novanta, che si esercitano sulla lezione “prude” aggraziatamente neoclassica dei Valori Plastici di Mario ed Edita Broglio nello stupore incantato della luce del mattino.Oggi, questo strumento-insegna, questo vessillo che è il denim per Baldino, è diventato veramente linguaggio, come lo specchio per Pistoletto, come il sacco o la plastica per Burri, come il Blu Oltremare per Klein. Un vaso universale, la tela, in cui l’alchimista pittore versa i suoi colori, le sue forme, che in ogni movimento, in ogni scivolatura, strozzatura o rigonfiamento, evoca l’immagine senza raffigurarla interamente. I segni, le aperture, le chiusure, gli effetti a cerniera danno vita ad un universo che danza e fluttua senza l’imbarazzo della gravità, che difende il proprio segreto dall’oltraggio della verità nuda e mantiene il voyeurismo dell’eros, sempre sulla soglia, con rilanci molteplici in una tensione, che curva sempre e poi ricomincia da capo lasciando margine a una nuova invenzione. Si tocca così un diapason d’intensità, un caleidoscopio di forme e colori posti aristocraticamente sotto controllo.Ci vuole pazienza, dunque, sapiente controllo, anziché orgoglio, accortezza anche per chi si avvicina all’opera di un artista, che è poi l’ immagine di un’ energia psichica, alla quale si deve rispetto, come alla sorgente prima di ogni invenzione, passaggio e costruzione, che bisogna curare con amore, prendere per buona anche quando ancora non sappiamo dove va a parare, come ha fatto Baldino. Ci vuole l’ arte insomma di chi sa aspettare con fiducia nel percorso scelto, di chi prende sul serio la vita.

“Per chi sa ancora aspettare”

Costantino Baldino sarà a Contemporanea Cesena dal 26 al 29 ottobre 2018 presso lo stand di Neoartgallery dove le sue ultime creazioni saranno esposte

 

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