Curatore d'Arte

Davide Frisoni Light 2.0 Galeri Selvin Istanbul

Davide Frisoni Istanbul

Davide Frisoni Light 2.0 Galeri Selvin Istanbul dal 25 febbraio –  14 marzo 2016

… Yeni gerçeklik olgusunu bize gösteren bu resimler, klasik özneleri gündelik hayattan kesitlerle yeniden yorumlarken, henüz gerçekleşmemiş olanları da önceden fısıldıyor. … Bu kent peyzajları, insanları ortak mekanlardan gelip geçerken gösteriyor: Tahminimizden çok daha az geçicilik taşıyan bu mekanlar, tıpkı bir foto-muhabirin objektif profesyonelliğiyle çalışan ressamın fırçasında, anlarla birleşerek sabitlenirken, tutkusallıkla enerjik fırça darbelerini muhafaza ediyor. Islak sokaklar, gelip geçerken hissedilen o varoluşsal ‘yolda olma’ duygusu, yüreği ısıtan bir yuva ortamıyla bütünleşiyor. Hepimizin her gün karşılaştığı bu sahneler bir kez daha tek bir farkla, tuvalin üzerinde olmasıyla, karşımıza çıkıyor. … Belki de asıl sürpriz, Frisoni’nin imgeye aracılık etmemesi. Ressam bu süreci teknolojiyle desteklemeyi reddediyor: Tuval, renkler ve spatula, kent peyzajı atmosferlerini yaratmak için yeterli geliyor. … Davide Frisoni’nin sert fırça darbelerinin ardında bolca sinema gizli; Belki de yalnızca tesadüf eseri olarak, sokaklar da tıpkı sinemada olduğu gibi ıslak; zira ıslak sokaklarda renkler daha canlı, ışıklar daha yansıtıcı olduğundan içi ısıtıp hayat veren bir sihirli etki yaratır. Bu da tam ihtiyacımız olan şey! … Bu sergideki kent ve doğa peyzajları, hiç bir avangardın sahip olmadığı sadeliğin ve delip geçen bir bakışın izlerini taşıyor. … Bu ortak mekanlar hepimizin. Yalnızca resim yoluyla bile olsa, bize ait bir dünyanın parçalarına sımsıkı sarılmamız gerekiyor.
Davide Frisoni Giorgio Bertozzi Neoartgallery
COMMON PLACES
Strano mettere insieme due forme quasi antitetiche di paesaggio oppure di trovare un rapporto tra una tradizione e un passaggio verso forme nuove di guardare il mondo. E’ anche chiaro che le cose vivono in eterno divenire, non stanno ferme perché mutano con lo sguardo che le accoglie. E poi un trentenne oggi vede cose che prima non si guardavano, che non avevano ancora la dignità di soggiogare uno sguardo, di tenerlo legato l’eternità di un pensiero. Ma soprattutto Frisoni si inserisce a pieno titolo in quel movimento di pittura di qualità, che indaga sui luoghi meno appariscenti del vivere quotidiano, verso quei non luoghi teorizzati da Marc Augè che sono i luoghi poi più vissuti intensamente dalla gente come le strade, le hall dei grandi edifici pubblici, aeroporti, stazioni, ecc. Una pittura che mette in scena la Nuova Realtà in espansione che passa indifferentemente dalla rappresentazione rivissuta di soggetti tradizionali allo svelamento di quelle fessure nel vivere quotidiano in cui si annunciano le cose a venire. Questo è l’aspetto interessante di un’arte, anzi della pittura tout court, che si pone sempre al servizio della conoscenza e della rivelazione del nuovo. In questo ambito i paesaggi urbani colgono gente di passaggio attraverso i luoghi del transito, nei momenti di spostamento da un luogo all’altro del territorio: luoghi che sono meno transitori di quello che a tutta prima si potrebbe credere. Questi sono fissati dall’artista in momenti coinvolgenti, con una certa distaccata professionalità da reportage fotografico, ma sempre con la passionalità e l’energia del gesto pittorico. Le strade bagnate, il senso on the road dello scorrere dell’esistenza però non ha nulla di epico, ma anche ha qualcosa di domestico che scalda e conforta. In fondo a queste scene assistiamo tutti i giorni, la differenza è che non siamo abituati a vederli sulla tela. Probabilmente la vera sorpresa è che Frisoni non punta alla medializzazione dell’immagine, cioè non ne fà il supporto di un procedimento elettronico; tela, colori e spatola sono sufficienti per creare atmosfere che mescolano certi paesaggi urbani che hanno in Hopper il maestro riconosciuto e inarrivabile, mentre contengono quel qualcosa di cinematografico a cui ormai siamo abituati dalla Nouvelle Vague e Wenders. Credo che ci sia molto cinema dietro le forti e ampie spatolate del pittore, ma si tratta di qualcosa che forse non è nemmeno conscio: è solo l’immaginario che ci portiamo dentro. Allora ci accorgiamo che gli asfalti bagnati hanno una poeticità che forse già conoscevamo senza esserne pienamente coscienti. Le strade della celluloide al cinema, e può essere solo una coincidenza, sono sempre accuratamente bagnate perché fanno risaltare i colori, riflettono le luci, creano quella magia che scalda la vita. Esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. Inoltre quel tanto che vi è di artificiale in queste atmosfere viene recuperato dalla loro parallela familiarità dall’essere comunque dei soggetti. Il quotidiano è fondamentale nella pittura di Davide Frisoni perché lui dipinge ciò che vede e che sente, ciò che in altri termini sente che gli appartenga. Gli altri paesaggi, quelli certamente più tradizionali in cui un’imbiancata alle colline romagnole le fanno assomigliare alle increspature del paesaggio di Pontoise o di Louvecienne tanto celebrate degli impressionisti, servono in questo a creare un apparente contrasto. Ma alla fine fanno parte dello stesso mondo dell’artista, come il porto di Rimini, come un tramonto violaceo che fa virare tutta l’immagine verso un sogno adriatico perfino alla nostra portata. Tutto gira attorno al quotidiano, al nuovo quotidiano, in cui l’artista vive e vede. Proprio la tradizionalità deliberata della sua arte diventa la cartina al tornasole per verificare come lo sguardo della contemporaneità possa trovare rispondenza nell’arte anche e soprattutto attraverso l’uso delle tecniche meno hi-tech possibile. I luoghi comuni dell’artista sono questi, sono i sintomi di un vivere che è legato a relazioni forti. Tutto non può sfuggire, niente può allontanarsi dalla visione che l’artista propone del proprio mondo. Si tratta ancora una volta di proporre la novità dell’ovvio, di far attraversare alla pittura lo spazio del consueto per restituircelo straordinario e mai visto. Questo il gioco e vale certo la candela perché alla fine ciò che riesce a globalizzare l’arte è soltanto la sua comunicazione immediata, il fatto di diventare veicolo di se stessa, di non doversi arrestare davanti agli imperativi delle mode e delle tendenze. Paesaggi urbani e paesaggi naturali sono in questa mostra i poli di uno sguardo che ha lo strabismo e la semplicità della non avanguardia. La novità in questo momento artistico e che non vi sono novità. Anzi la novità consiste nel cercare la spontaneità e quel tanto di verità che appartiene agli artisti che dipingono ciò che vogliono e ciò che credono. Per questo tutto appartiene e si tiene, perché è l’artista che riunisce nella sua personalità e nel suo sguardo le varie realtà che lo circondano e che decide di dare cittadinanza in pittura. Possiamo dire che la pittura di Davide Frisoni è l’unità di misura di una tradizione che descrive la vita moderna. Lo sappiamo da Baudelaire in avanti che la modernità coincide con la moda e a metà dell’Ottocento bisognava dare dignità alle cose che ancora non avevano cittadinanza artistica come gli oggetti borghesi, gli interni comuni, le persone di tutti i giorni, le strade affollate di gente comune. La modernità, anzi la nostra post modernità è fatta invece di mille sopravvivenze e di altrettante convivenze. Il tempo con la sua pesante e scomoda eredità, si rovescia nel presente, in questo splendido e unico presente che ci appartiene con il nome di vita. Alla pittura chiediamo quell’attestato di eternità che ci conforti sul tempo e sul suo divenire senza di noi. Questi luoghi comuni ci appartengono, teniamoli stretti come testimonianze e frammenti di un mondo che fa parte di noi, sempre e comunque. Anche se lo conosciamo attraverso un dipinto.Valerio Deho’
COMMON PLACES
It is strange to compare two ways of painting landscapes or to find a relation between a tradition and the transition towards new ways of looking at the world. Obviously things are living in their eternal becoming, never still, because they change with the gaze of those who look. A thirtysomething today see things that were never looked before, things undignifyed by gazing and never before tied to the eternity of thought. But most of all Frisoni put himself in that ‘young’ painting group investigating on those places less shining and more common of everyday lives, those no-places teorized by Marc Augè that insist that the most intensely lived places by the people are roads, public halls, airports, stations, etc. A painting fashion that show us the New Reality in continuos expansion, passing indifferently from the re-lived representation of traditional subjects to the manifestation of those slits of everyday lives where things to come are foreseen. This is the interesting aspect of an art, or should i say of the ‘painting tout-court’, always at the service of knowledge and the revelation of what is new. The urban landscapes show us people passing by transitorial places: places less transitory than we can expect, places fixed by the artist in involving moments, with a certain detached professionality as a photographic reporter, but with the passionality and the energy of the painting gestuality. The wet roads, the ‘on the road’ feeling of the existence passing by, with a domestic warming feeling. These scenes are the ones we watch every day, with the difference that now they are on canvas. The real surprise, perhaps, is that Frisoni does not mediate the image, that is, he does not support the process with technology: canvas, colors and spatula are enough in order to create urban landscape athmospheres where Edward Hopper was the unrivaled master, while they have something cinematographic in them which we got accostumed with the Nouvelle Vague and Wim Wenders. I think there is a lot of cinema behind the strong gestures of the painter, but it is something, maybe, he is not conscious about it: it is what we carry inside. Then we recognize that the wet asphalt have a poetic quality that we consciously knew already. The celluloid roads of cinema, and this might be just a coincidence, are always wet because in this way colors are more vivid, lights are reflecting, creating that life-warming magic. This is exactly what we need. What is artifical in these athmospheres is somehow recovered by the parallel familiarity of the subjects. The daily aspect of the paintings of Davide Frisoni is fundamental because he paints only what he sees and he feels. The other landscapes, the more traditional ones, where some snow makes the hills of Romagna white and crispy as the landscapes of Pontoise or Louvecienne much celebrated by the impressionists. In the end they all belong to the world of the artist, as the Rimini harbor, as the purple sunset of an adriatic dream we can afford. Everything circles around the daily activities of everyday life, the new way of looking at everyday life, where the artist lives and sees. The freed traditionality of his art becomes the instrument to verify how the contemporary look may find a resonance in art without the use of any hi-tech tools. These are the common grounds of the artist, sympthoms of a strong way of living. Nothing can escape the vision of the artist showing us his own world. Once more we find a new interpretation of the obvious, so that painting crosses the space of the ordinary giving it back in a extraordinary and never seen way. The effort is worth it, because in the end what makes art global is only its immediate communication, to become a vehicule of itself, with no fear of trends and fashion. Urban landscapes and natural landscapes are, in this exhibition, the angles of a look with the simplicity and the crossed-sight of no avant-guard. The novelty in this artistic movement is that there is no novelty. Looking for that spontaneous feeling of truth belonging to the artist that paints what he wants. That is the reason why everything works, because the artist fuses in his personality and in his gaze the various realities around him. We can say that the painting of Davide Frisoni is the new way of measuring of a tradition describing modern life. We know it since Baudelaire and on, that modernity goes together with fashion and already in the second half of the 19th century people needed to dignify things that were not considered artistic, middle class objects, ordinary interior dwellings, everyday people in the streets. Modernity, or our post-modernity, is made of thousands of survivals and cohabitations. Time, with its heavy and uncomfortable heritage, throw itself unto the present, in this splendid and unique present time that we own and call life. To painting we ask that eternity certification that will comfort us once we will not be there. These common places belong to us, let us hold them tight as fragments of a world of ours, even if we know it through a painting.Valerio Deho’

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