Curatore d'Arte

Irlanda

L’attrattivo aspetto di certe località d’Irlanda e all’estero, come rappresentate nelle carte geografiche globali con disegno policromo oppure in carte particolari apprestate da ingegneri di Sua Maestà con scale graduate e tratteggio. In Irlanda? Le scogliere di Moher, le lande ventose del Connemara, il lago Neagh con la sua città pietrificata e sommersa, la Strada dei Giganti, Fort Camden e Fort Carlisle, la Valle Dorata di Tipperary, le isole di Aran, i pascoli della regale Meath, l’olmo di Brigid a Kildare, il cantiere navale di Queen’s Island a Belfast, il Salto del Salmone e i laghi di Killarney. JAMES JOYCE ULISSE Traduzione e prefazione di Gianni Celati

Uno dei luoghi più suggestivi e affascinanti d’Irlanda? Le magnifiche scogliere di Moher. Le Cliffs of Moher (Aillte an Mhothair, che significa “scogliere della rovina”, in gaelico irlandese) possiedono numeri importanti: sono lunghe 8 chilometri e raggiungono un’altezza massima 214 metri di altezza. Questa famosissima meta turistica rappresenta una tappa fondamentale da includere in un primo viaggio in Irlanda. Camminare a strapiombo sul mare è una sensazione unica, sembra di essere ai confini del mondo e il panorama raggiunge la massima poesia quando si accendono i colori del tramonto: la maggior parte dei turisti ha già ripreso la strada del ritorno e la pace è interrotta solo dal volo degli uccelli, dal suono del vento e delle onde che s’infrangono sugli scogli.

La visita a queste meravigliose scogliere d’Irlanda, in una giornata di vento fa comprendere a pieno la forza di questo elemento che, quando si manifesta lievemente, si fa apprezzare per la delicatezza del suo tocco ma, nel momento in cui libera la sua energia, ci ricorda che la natura va ammirata, rispettata e non combattuta. Questa giornata mi ha riportato alla mente una pagina di quel meraviglioso libro dedicato al “naufrago” Robinson Crusoe, di casa nella patria del vento e di Joyce

Ci trovammo in tali strette, e continuava a soffiare il vento tremendamente, allorchè la mattina di buon’ora uno de’ nostri marinai gridò ben forte: Terra! ed appena
fummo corsi fuor della nostra camera nella speranza di vedere almeno in qual parte del mondo fossimo, il va- scello urtò contro ad un banco di sabbia. La violenza della sua fermata fu tanto forte, che il mare gli salì sopra con formidabile violenza, a tal che per un comune istin- to ci ritirammo tutti dietro al castello di poppa, per ripa- rarci dagli immensi sprazzi dell’onde.Non è cosa facile per chi non siasi trovato in un simi- le caso il descrivere o concepire la costernazione d’uo- mini ridotti a tal punto. Non sapevamo affatto nè dove fossimo, nè su qual terra saremmo trasportati, se in una isola o in un continente, se in un paese abitato o disabi- tato; e poichè il furore del vento imperversava tuttavia, se bene un poco più mitigato di prima, non avevamo grande speranza di governare il vascello per molti minu- ti senza che andasse in pezzi, semprechè il turbine, ciò che sarebbe stato una specie di miracolo, non voltasse ad un tratto da un’altra banda. In una parola, noi ci se- demmo guardandoci in faccia gli uni con gli altri, aspet- tando a ciascun momento la morte, e preparandoci tutti di comune accordo per l’altro mondo, perchè in questo ci restava omai poco o nulla da fare per noi. Il nostro conforto del momento, e tutto il conforto che avemmo, si fu che il vascello non era per anche andato in pezzi, e aggiungasi la notizia datane dal capitano, che il vento cominciava a sminuire.Pure, ancorchè fossimo convinti di questa lieve dimi- nuzione, il vascello si era troppo saldamente fitto entro la sabbia che non ci rimaneva più speranza di rimetterlo
al mare. In sì spaventosa condizione non avevamo altro partito fuor quello di salvare le nostre vite come meglio avremmo potuto. Prima della burrasca avevamo a poppa una scialuppa, ma sfondatasi contro al timone e infran- tesi le corde che la teneano, andò a sommergersi e il mare la trascinò lontano da noi. Su questa pertanto non si poteva sperare. Ne avevamo un’altra a bordo; ma non sapevamo bene come lanciarla in mare; pure non vi era luogo a discutere, perchè ci aspettavamo ad ogni minuto che il vascello si spezzasse, e qualcuno dicea che era già spezzato.
In tale istante di disperazione l’aiutante del vascello diè di piglio alla scialuppa, e fattosi aiutare dagli altri marinai, congiuntamente la fecero saltare dal di sopra dell’anca del vascello nell’acqua. Dopo esserci lanciati tutti entro di essa (eravamo rimasti in numero di undici), la lasciammo andare mettendoci alla mercede di Dio e del mare infuriato; perchè, se bene la burrasca fosse considerabilmente diminuita, pure il mare andava alto a coprire la spiaggia, e potea ben esser detto den wild zee (mare selvaggio), come gli Olandesi chiamano il mare in burrasca.
Allora la nostra posizione si fece sempre più deplora- bile, perchè vedevamo patentemente divenuto sì grosso il mare che la scialuppa non ci potendo tenere, saremmo rimasti inevitabilmente annegati. Non vi era il caso di veleggiare perchè non avevamo vele, nè, se ne avessimo avuto, avremmo potuto far nulla con esse. Remigammo dunque verso terra, benchè col cuore depresso come uomini che andassero al patibolo. Comprendevamo ben tutti che, appena la scialuppa sarebbe più vicina alla spiaggia, anderebbe in mille pezzi per l’urto del mare. Pure raccomandammo fervorosamente le nostre anime a Dio, poi affrettammo con le nostre mani medesime la nostra distruzione, spingendo con troppa gagliardia la scialuppa verso la spiaggia contro cui già la spingeva lo stesso vento.
Quale spiaggia si fosse, se scoglio o banco di sabbia, se montagna o pianura, non lo sapevamo. L’unica ombra di speranza che ragionevolmente potea rimanerne, si era quella d’incontrarci in qualche baia o golfo o foce di fiu- me, entro cui potessimo per gran ventura introdurre la nostra scialuppa, metterla a sotto vento e forse navigare in un’acqua più tranquilla. Ma non v’era alcuna apparen- za di ciò, e quando fummo più vicini alla costa, la terra ci si mostrò più spaventosa del mare.
Dopo aver remigato, o piuttosto esserci lasciati tra- sportare dal vento per circa una lega e mezzo, come lo congetturammo, una furiosa ondata simile ad una mon- tagna ci corse alle spalle, e ne fece presentire compiuta- mente il colpo di grazia. Ci venne addosso con tal furo- re che, capovolta la scialuppa, ci disgiunse da questa come gli uni dagli altri, dandone appena il tempo di dire: Oh Dio! perchè in un momento fummo tutti ingo- iati dalle onde.

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